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Eventi e speciali

Knulp Malevich - The magic eye

mostra

Informazioni utili

  • Categoria: Mostre e mostre mercato
  • Dal 15/04/2012 al 29/04/2012
  • Dove: Lecce
  • Indirizzo: Officine Cantelmo
  • Costo: accesso libero
  • Orario: tutto il giorno
  • Sito web: http://www.knulpmalevich.com
Un mago che si rispetti deve avere la sua bacchetta. Un oggetto che possa comandare e da cui possa, conseguentemente, essere ubbidito.
Il primo incontro con qualcosa di magico, o, che, almeno, come tale definii, fu appunto il cosiddetto “occhio magico” della radio di famiglia, una valvolare Magneti Marelli, che misurava, con l’apertura di un luminoso diaframma verde, l’equilibrio della sintonia della frequenza preferita: quando l’occhio magico raggiungeva la sua massima apertura e il suo massimo chiarore, allora, come per incanto, le voci e i suoni sgorgavano  nitide e prive d’interferenze; e tutto questo, magicamente avveniva mentre le mie dita accarezzavano una manopola ubbidiente e silenziosa come il pulsante di un otturatore fotografico.
Più adulto, incontrai un altro “occhio magico” sulle porte d’ingresso di certe
abitazioni dietro le quali occhi sospettosi, prima ancora che curiosi, scrutavano, non visti,
le fattezze del visitatore per controllarne l’identità.
Davanti al riflesso di questi silenziosi “polifemidi” mi atteggiavo di conseguenza:
mi toglievo il berretto, abbassavo il bavero del soprabito, mi ravviavo i capelli, assumevo
un sorriso di circostanza. Cercavo, insomma, di adeguarmi, senza ricorrere ad alcuna
magia, alle aspettative dello spione di turno. E, naturalmente, mi mettevo in posa.
Ritorna, ancora, il binomio “occhio – magia” nella proposta fotografica dell’amico
Knulp e, nel frattempo, è divenuto qualcosa di differente, di sostanzialmente differente:
il suo “occhio magico”, infatti, non parla più di sintonia e non spia più in forma discreta
(ma, forse, mi sbaglio). Forse la sua ricerca di sintonia è una messa fuoco diretta verso
qualcosa che si rivela all’occhio più che allo strumento; ma è pur sempre la magia dello
strumento che conserva la sim-patia della sin-tonia; insomma l’equazione “occhio-magia”
regge ancora.

*

* *

Nell’Arsenale di Venezia, il grande Galileo Galilei ebbe notizia di una trovata di
alcuni meccanici (cinesi, olandesi) intorno all’uso di certe lenti. Verificando le ipotesi
di quei lavoratori, lo scienziato giunse a concepire inedite possibilità di sfruttamento
delle proprietà ottiche racchiuse nelle lenti qualora opportunamente lavorate e altrettanto
opportunamente montate.
C’è, ancora, qualcuno che insiste nel togliere al genio pisano la primogenitura
dell’invenzione del cannocchiale; tutti noi, invece, non dubitiamo della bontà scientifica
dell’uso cui destinò le sue lenti e dei risultati che con le medesime raggiunse.
Galilei, infatti, sta dietro ogni fotografia che, oggi, noi realizziamo; non tanto per le
sue scoperte intorno alle lenti quanto per averci insegnato a capire come si guarda il cielo
piuttosto che accanirci a capire come guarda il cielo.
Ogni fotografo, se è immerso nella realtà delle cose e da questa è osservato, chiede
un dialogo e attende una corrispondenza.
Sembra facile raccogliere la magica realtà che ci circonda perché lo strumento
si fa sempre più duttile e sofisticato, quasi intelligente e, pertanto, una lente, più lenti,
invero, mettono a dieta il reale per farlo passare per l’evangelica cruna dell’ago. Ma ogni
fotografo sa che non basta lo strumento; e non basta neanche essere poveri per fare spazio
a quella realtà che vuol lasciarsi addomesticare - come la volpe del “Petit Prince” -, dallo
sguardo fotografico.
Ogni fotografo sa che si addomestica il reale per comunicarlo al medesimo o ad “altri” ancora, ovvero quelli che ancora non sanno, ma che vogliono sapere e conoscere.
Ogni fotografo sa che la rappresentazione del “cosa” è facile da ottenere, grazie
allo strumento; ma l’espressione del sé (che si accompagna al "cosa") è più difficile da
partecipare.
E se il progetto fotografico, o per intelligenza del fotografo o per volontà e sapienza del fotografo, risultasse capace di vestire l’eccellenza dell’arte, beh, sento il mio
amico ripetere come i vecchi commedianti “scusateci, non si è fatto apposta”.
Occorre, difatti, entrare in sintonia: stabilire un nesso, un contatto, un cordone
ombelicale che lega ciò che sta dietro l’obiettivo a ciò che gli sta davanti (l’ob-iectum).
Galileo, concretamente, ci direbbe: “Cosa, allora, meglio di un pezzo di vetro?!”

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