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Flora

I testi sono tratti dal blogspot http://centrostudiagronomi.blogspot.com/ - Centro Studi del Dottore Agronomo e del Dottore Forestale di Lecce, Dott. Antonio Bruno

La Cicoria di Galatina

Cicorie

La Cicoria appartiene alla famiglia delle Compositae e i Romani la conoscevano molto bene non solo per uso alimentare ma anche per le qualità terapeutiche, infatti, Galeno, medico greco, la considerava amica del fegato. Apicio il più noto e importante esperto di gastronomia dell'epoca romana consigliava di cucinare la cicoria selvatica con garum (salsa a base di pesce), olio e cipolla affettata, dimostrando di saperla lunga in fatto di contrappunti. Già nel 1700 la radice della cicoria essiccata, tostata, macinata e preparata come infuso, era utilizzata come correttivo o surrogato del caffè, dal medico padovano Prospero Alpini che ne aveva scoperto le proprietà curative. Un uso che venne ripreso alla grande durante l'ultimo conflitto mondiale come succedaneo del caffè a quei tempi diventato una rarità assoluta.

La cicoria di Galatina si semina in semenzaio a fine Maggio- inizio Giugno per raccoglierla in Novembre-Dicembre.
Si può seminare anche a file, lasciando trenta centimetri tra le piante, occorre irrigare perchè la pianta non accetta il secco, utile pacciamare facendo attenzione ai ristagni, possono favorire i rari attacchi dell'oidio.
Il trapianto si effettua dopo circa un mese e mezzo dalla semina, con piantine che hanno 4-5 foglie, spuntando leggermente la radice a fittone, in piena terra ben livellata ad una distanza di 25-30 cm tra le piante.
La varietà di Galatina produce i cuori (puntarelle) per questo motivo viene sottoposta a tecniche di forzatura e imbianchimento come per i radicchi.

Bisogna forzare la piante come altre cicorie, come la Cicoria di Bruxelles, i radicchi, la barba di frate....
Se la temperatura lo permette ovvero se non scende oltre i 5C° lo si fa in loco, se no bisogna portarle in locali o in serre o in risorgive, tenendole sempre al buio affinché crescano i germogli centrali eziolati e privi di clorofilla.
Si tagliano le foglie a circa un centimetro abbondante dal colletto-mondate e pulite da foglie secche e marce, si seppelliscono con materiale sano e asciutto (fino al colletto con pula di riso o segatura) e poi si mettono 50-60 cm di paglia di orzo o frumento a mò di cumulo, infine si copre con un telo nero di PVC. Si può anche tenere l'ortaggio in campo a patto che sia asciutto e sano. Dopo ottobre novembre le cicorie e le catalogne per ottenere l'imbianchimento vanno ritirate in zone riscaldate. Si deve aspettare circa 28-40 giorni a seconda delle preferenze di gusto, delle temperature e della conservazione.

La raccolta va fatta recidendo la pianta al colletto, la pianta ricaccerà dalla base con puntarelle singole. La raccolta deve essere fatta al momento giusto, quando i cespi sono sviluppati ma ancora teneri, e le puntarelle vanno tagliate appena sono sufficientemente grandi. La catalogna verde si raccoglie gradualmente nel corso dell'autunno, mentre la catalogna Brindisina solo nel tardo autunno o all'inizio dell'inverno, dopo che avrà perso il suo sapore amarognolo. La produzione va dai 2 ai 4 kg per metro quadrato.Questi cuori (puntarelle) vengono mangiati crudi, sono teneri e poco amari. Si mangiano anche cotti, lessati semplicemente in acqua e conditi solo con un pizzico di sale e olio, si utilizzano anche le foglie più tenere oltre ai cuori (ciccioli - puntarelle), naturalmente.

La cicoria di Galatina ha scarsa resistenza al gelo infatti resiste fino a +5°, se la pianta gela quando si và a tagliare il grosso germoglio, si notano i Cuori (ciccioli) cotti e l'interno cavo pieno di ghiaccio. Ho già scritto delle spiccate proprietà depurative della Cicoria (Chicorium inthibus) in una mia precedente nota http://centrostudiagronomi.blogspot.com/2010/06/curarsi-con-la-cicoria-selvativa-cecore.html ho già scritto che queste proprietà sono dovute all'azione coleretica (stimola l'eliminazione della bile), diuretica e lassativa, dovuta al fatto che sono presenti in maniera consistente l'apporto di fibre cellulosiche e dell'azione coleretica.

E' sempre preferibile consumare la cicoria cruda, magari in un'insalata mista: infatti la cicoria cotta perde gran parte delle proprietà terapeutiche e l'effetto decongestionante epatico è pressoché nullo. Per recuperarlo, almeno parzialmente, è opportuno bere qualche bicchiere dell'acqua di cottura, ricca di minerali e di vitamine. Ricca di calcio, fosforo e vitamina A, la cicoria catalogna va comprata quando ha il fusto chiuso e turgido, ed è di un bel verde brillante. Si conserva per un paio di giorni in frigo nel cassetto delle verdure.

Valori nutrizionali della cicoria catalogna di Galatina [chicorium intybus, cv catalogna]

Valori per 100 grammi:
Parte edibile: 80 g - 24 Kcal - Proteine animali: 0 g - Proteine vegetali: 1,8 g - Carboidrati: 3,2 g - Grassi: 0,5 g - Fibre: 3,1 g - Ferro: 0,7 mg - Calcio: 74 mg - Vitamina C: 17 mg

Bibliografia

  • Clifford A. Wright: Mediterranean vegetables: a cook's ABC of vegetables and their preparation
  • Acta horticulturae, Edizione 533
  • Andrea Grignaffini: Bianca, belga o di Catalogna Ecco l'"erba" dai mille volti
  • Angelo Passalacqua: Cicoria puntarelle
  • Cristina Cortese: La cicoria catalogna, madre delle puntarelle romane
  • Venerdì 15 maggio 2009 - palazzo della Cultura di Galatina - Convegno sulla tipizzazione e valorizzazione dei prodotti locali: "La cicoria di Galatina"
  • Grecia Salentina la Cultura Gastronomica
  • Journal of applied seed production, Volumi 13-16
  • Grazia Balducci: Gli ortaggi dalla A alla Z

Le paparine

Paparine

Il termine Papaver deriva dal latino papo (= pappa). Il papavero rosso, originario delle regioni medio - orientali è comparso in Europa con l'introduzione delle colture di cereali. Nel Salento leccese raccogliamo il papavero in pieno inverno, dicembre - gennaio e dopo averlo cucinato lo mangiamo.

Non dirmi che non sai che cosa sono le paparine? Come mai, sei nato e cresciuto nel Salento leccese, le hai mangiate con le olive, le nere olive della cellina e dell'oliarola, e non sai che pianta è quella della paparina? Allora te lo dico io: è il papavero! Non lo sapevi vero? Noi del Salento leccese raccogliamo il papavero in pieno inverno , dicembre - gennaio, quando non ha ancora il fiore, gli tagliamo le radici , eliminiamo eventuali foglie secche, laviamo tutto (adesso mia moglie si arrabbia perchè sostiene che parlo come il Papa ma a fare tutto questo non siamo noi, né io con il plurale maiestatis, ma lei al singolare) e mia moglie prepara! E come non ricordare quello che tutti abbiamo detto da piccoli: Mamma dammi la pappa infatti il termine Papaver deriva dal latino papo (= pappa) o da una parola celtica con il medesimo significato.

Pare che il papavero rosso sia originario delle regioni medio - orientali e che sia comparso in Europa con l'introduzione delle colture di cereali. Teocrito (Siracusa, 324/321 a.C. - circa 250 a.C. poeta greco antico) afferma che il papavero nacque dalle lacrime di Venere mentre piangeva Adone . Cercate di immaginare la scena perchè ne vale davvero la pena, ecco che Venere, mentre corre a soccorrere Adone ucciso da un cinghiale durante una battuta di caccia, si punge inavvertitamente con le spine di un roseto e ,con il suo sangue, tinge i fiori di rosso e questi fiori sono i papaveri che ricordano ancora oggi il dolore che accompagna sempre la perdita dell'amato.

Il papavero è un alimento non solo per noi salentini leccesi ma anche per gli antichi e infatti adorna il capo di Cerere, Cibele, Venere, Giunone e Mercurio. Nella mitologia Cerere, la dea delle biade che si supponeva avesse insegnato agli uomini l'uso del frumento, avrebbe trovato per la prima volta il papavero nell'isola di Mecona che avrebbe preso il nome dal papavero (papavero in Greco si dice Mecon). E' facile riscontrare che le spighe insieme ai papaveri sono i simboli della Dea Cerere. Gli antichi rappresentavano la fertilità (Ubertas e da qui le donne ubertose) come una donna con capi di fiori di papavero in mano e con ghirlande, sempre di papavero, sulla testa, ciò per la circostanza che da una pianta di papavero se ne possono avere sino a 32.000 perchè tanti sono i semi che produce. E il Buon successo (Bonus eventus) era rappresentato nel Campidoglio, a Roma, come un giovane che tiene nella mano sinistra delle spighe miste a fiori di papavero.

Eppure il papavero è una specie infestante, tutti osserviamo i terreni che sembrano spruzzati di rosso, il rosso dei papaveri che imperversa e che ha ossessionato i pittori di tutte le epoche. E come non raccontarvi del Papavero pugliese (Papaver apulum Ten.) che si distingue per i petali scarlatto rosei con macula scura basale. Dicevo delle grandi distese di papaveri rossi che si possono ancora notare in tutta la penisola e, tra questi, c'è anche il rosa del papavero pugliese.

In questo Salento leccese che, citando Vittorio Bodini (Bari, 6 gennaio 1914 - Roma, 19 dicembre 1970) poeta che qualche bibliotecaria salentina vorrebbe ancora vivo e presente e a leggere le sue poesie, scrivevo di questo Salento leccese che ha un paesaggio sub specie mathematica “In altri termini, un paesaggio è di solito uguale algebricamente a x - 1. Il sottraendo è costituto dal cielo, ciò che rimane è la scena su di esso dipinta" e in quel dipinto del Salento leccese c'è il colore rosso dei papaveri. Quegli stessi papaveri della mia infanzia a San Cesario di Lecce, quando li raccoglievamo ancora chiusi nelle brattee e poi, uno di fronte all'altro, mettevamo il bocciolo tra il dito pollice e medio e facevamo una pressione che faceva scorrere le brattee e poi, suspence...apparivano i petali del bocciolo! Il gioco consisteva nell'indovinare il colore del bocciolo di papavero prima liberarlo dalle brattee. Ricordo perfettamente che nella maggior parte erano di colore rosso ma i boccioli potevano essere anche bianchi o rosa.

Chissà se i bambini del 2010 giocano a raccogliere boccioli di papaveri? Voi che dite? Lo fanno ancora? E se vi è venuta voglia di farlo, fatelo l'anno prossimo, fatelo con i vostri, perchè è così che si conquista l'eternità, nella memoria dei gesti semplici che ci vengono insegnati! Gli immancabili papaveri spruzzati in mezzo al grano in questo tappeto giallo rosso che sono i colori della squadra di calcio del Lecce. I Colori giallo e rosso e che hanno fatto scrivere a Fabrizio De Andrè

“dormi sepolto in un campo di grano
non è la rosa non è il tulipano
che ti fan veglia dall'ombra dei fossi
ma sono mille papaveri rossi."

I papaveri che vegliano i nostri pasti, questi insistenti papaveri del Salento leccese, divenendo essi stessi pasto in quelle fantastiche minestre con le olive nere che si chiamano Paparine e che raccogliamo imitando le donne del neolitico. Già le donne di più di 12.000 anni fa che, poiché non avevano l'urgenza di raccogliere in quanto erano consapevoli che la pianta non fugge via per difendersi, la pianta non scappa nascondendosi in qualche buco o in anfratto, ma è li ad attendere la mano di quella nostra antenata, la mamma dei nostri avi, e a sua volta nostra mamma, che con calma e con riflessione raccoglieva le piante che poi averebbe somministrato come cibo a marito e figli in quei 16 chilometri quadrati che erano lo spazio vitale per le persone umane più di 12.000 anni fa.

Il Prof. Ferdinando Boero dell'Università del Salento, in una sua bellissima relazione sulla biodiversità a Zollino il 26 giugno 2010 ha affermato che quella vita della donna raccoglitrice e delle persone umane nomadi era il Paradiso Terrestre e che la caduta “Biblica" di Adamo ed Eva dal Paradiso è avvenuta con il Neolitico e l'avvento dell'agricoltura e dell'allevamento in sostituzione della raccolta e della caccia.

Siamo stati cacciati da quel paradiso? Ci siamo ficcati in questa “civiltà" da soli? Una cosa è certa: accanto al giallo del grano c'è il rosso del papavero, accanto alla dolcezza del senso di sazietà dopo aver mangiato il piatto più prelibato per il mio amico Rori, ovvero un ricco e gustoso panino, c'è anche la fatica di doverselo guadagnare lavorando.

Bibliografia

  • Reivas dell' Ibis: miti e i simboli delle piante presso i greci ed i romani
  • M.F. Lochner: Papver ex omni antiquitate eretum 1719
  • Barthelms: Explication de la masaique de Palestine 1760
  • Wildenow Grund der Krauterkunde pag 501
  • Silvia Lusuardi Siena: signori degli anelli: un aggiornamento sugli anelli-sigillo longobardi
  • Michele Emmer: Matematica E Cultura 2
  • Fabrizio De Andrè: La Guerra di Piero
  • Ferdinando Boero: Relazione di Sabato 26 giugno, Piazza San Pietro a Zollino, nell'ambito della Fiera di San Giovanni, edizione 2010, nel convegno dal titolo “Biodiversità, valore aggiunto per i prodotti tipici".

Rusciuli del Salento leccese (Corbezzoli)

Corbezzoli

Rusciuli del Salento leccese (Corbezzolo Arbutus unedo L.): ne mangio uno! Uno e basta!
di Antonio Bruno*

Il corbezzolo (rusciulu per il Salento leccese) è un arbusto o alberello sempreverde che può, con una ruvida corteccia scura. Le foglie sono di colore verde scuro, più chiare nella pagina inferiore, lunghe 4-5 cm., ellittiche, lucide, col margine seghettato. I fiori sono piccoli e a gruppetti, di un colore che va dal bianco al roseo.I frutti sono simili alle fragole, sferici, grandi fino a 2 cm., conuna superficie verrucosa e ruvida. La pianta di corbezzolo può raggiungere dimensioni ragguardevoli con un diametro di metri 2,5 e un'altezza di 5 - 8 metri.

Ha infiorescenze terminali che pendono con 15 - 30 fiori. La fioritura avviene a partire da questo mese di Settembre sino al Marzo successivo, il frutto è una bacca che pesa da 5 a 8 grammi, si può mangiare ha una polpa ambrata piena di sclereidi (sono quelle parti che formano il guscio di molti semi) con un numero variabile di semi, ed è ricchissimo di zuccheri e vitamina C. Gli uccelli sono ghiotti dei rusciuli, nutrendosene diventano i responsabili della diffusione di questa pianta, ma è anche riproducibile per parte di pianta visto che la pianta del corbezzolo dopo un incendio ricaccia abbondantemente, facendo questa pianta adatta per l'uso forestale nella nostra zona che è ambiente di macchia mediterranea soggetta agli incendi estivi.

*Dottore Agronomo

Bibliografia

  • Pizzi - Gentile: Lecce Gentile
  • Gianni Ferraris: La torre del Serpe
  • Federico Valicenti: C'era una volta il Corbezzolo
  • Nieddu, G.; Chessa, I. : Il corbezzolo [Arbutus unedo L.]
  • Chessa, I.; Mulas, M: Le specie frutticole della macchia mediterranea: la valorizzazione di una risorsa
  • Morini, S.; Fiaschi, G.; D°Onofrio, C.: Indagini sulla propagazione per talea di alcune specie arbustive della macchia mediterranea
  • Chessa, I.; Mulas, M.: Le specie frutticole della macchia mediterranea: la valorizzazione di una risorsa

L'azzeruolo

Azzeruolo

L'albero che produce questo frutto saporito cresce spontaneamente nei boschi per questo viene chiamato comunemente “mela di bosco". E' a rischio estinzione. Ma c'è di più: secondo una recente indagine sui frutti dimenticati curata da una categoria professionale agricola a guidare la classifica c'è proprio l'azzeruolo conosciuto solo dal 15 per cento degli italiani. In Italia alla fine dell'Ottocento si contavano 8000 varietà di frutta, mentre oggi si arriva a poco meno di 2000 e di queste ben 1.500 sono considerate a rischio di estinzione.

E pensare che Carlo De Cesare nel 1859 nel suo Libro Delle condizioni economiche e morali delle classi agricole nelle tre provincie di Puglia scriveva “La lazzeruola abbonda nelle due province di Bari e Lecce. Se ne coltivano due qualità, la gialla detta di Germania che è la più comune, e la rossa che è più piccola dell'altra". L'azzeruolo appartiene appartenente alla famiglia delle Rosaceae, sottofamiglia delle Maloideae ed al genere Crataegus la cui specie da frutto più interessante è il Crataegus azarolus.

Il Crataegus azarolus L. è anche chiamato lazzeruolo, è un albero termofilo ricordando che si definisce specie termofila una specie di vegetali di ambienti caldi. Il Crataegus azarolus L. è presente in tutto il bacino Mediterraneo in particolare nella fascia climatica della roverella e del leccio. E quel frutto che tanto mi ha colpito è costituito da un pomo globoso di dimensioni variabili a seconda che la provenienza sia selvatica o coltivata. L'albero di azzeruolo raggiunge l'altezza di 2 - 3 metri ed un diametro alla base di 12 a 15 centimetri, preferendo un terreno calcareo-argilloso giunge al suo sviluppo massimo in 20 a 25 anni. Si presta particolarmente per le siepi vive, sopportando benissimo la potatura con la forbice e divenendo sicura difesa per molti anni contro gli uomini e le bestie per le moltissime spine di cui è munito.

Il tronco dell'azzeruolo presenta una corteccia di colore marrone scuro ed ha le branche irregolari e ricche di nodi. I rami giovani sono pelosi, la loro corteccia è nerastra e sono provvisti di spine. I fiori sono riuniti spesso in infiorescenze a corimbo, portate all'apice dei rami dell'anno. I fiori sono piccoli e bianchi. I frutti sono dei pomi di forma depressa, con un'ampia cavità calicina, di piccole dimensioni, con una buccia di colore rosso, giallo o biancastro a seconda delle varietà. La polpa invece è di colore crema, a volte farinosa a volte butirrosa, che mi ha colpito per il sapore gradevole. I semi presenti in un numero variabile da 1 a 5 e hanno consistenza legnosa.
Il legno pesante, duro, tenace, elastico, di fibra morta e di colore rossiccio a macchie, si adatta a diversi usi, fra i quali principalmente per pialle e bastoni, i quali ricevono una tinta rosso bruna passandoli con la corteccia nel fuoco ed immergendoli successivamente nella calce. Questo legno dà molto calore. Un decimetro cubo di legno secco pesa chilogrammi 0,862. Di questo legno i Romani facevano le tende, e, secondo Plinio, il ratto delle Sabine ebbe luogo al chiarore di tende di questa specie.

Siccome l'azzeruolo si propaga essenzialmente per innesto, usando come portainnesto principalmente il biancospino, o più raramente il pero selvatico, il cotogno e il nespolo comune, sarebbe auspicabile che ogni agricoltore ne conservasse qualche esemplare nella propria azienda. La pianta viene lasciata a se stessa affinché assuma il portamento naturale ovvero la forma piramidale. In primavera i suoi fiori sono un irresistibile richiamo per api, vespe ed altri insetti che fanno del nettare il loro principale alimento. In autunno i suoi frutti divengono cibo ricercato dagli uccelli e continuano ad esserlo fino all'arrivo dell'inverno perché in buona parte persistono sui rami. Merli e tordi sono i principali frequentatori dei rami.

Le cultivar di azzeruolo hanno un periodo di maturazione compreso tra la metà di agosto e l'inizio di ottobre e si distinguono tra loro soprattutto per le dimensioni e la forma del frutto ed il colore della buccia; di seguito vengono descritte le varietà principali.

Gialla del Canada

Il pomo è tondeggiante con l'epidermide di color arancio-rosso, matura a metà agosto.

Moscatella

È la vera azzeruola gialla, a frutto meliforme, di buona pezzatura, con polpa dal sapore dolce-acidulo; l'albero ha foglia come il biancospino e fioritura altrettanto decorativa, matura in settembre.

Rossa d'Italia

A differenza del precedente la buccia è rossa.

Azzeruolo invernale

È coltivato soprattutto a scopo ornamentale, infatti i suoi piccoli frutti aranciati sono molto decorativi per tutto l'autunno e parte dell'inverno; l'albero è più esuberante che negli altri tipi e possiede un bel fogliame verde lucente.

La raccolta è effettuata manualmente, bisogna però far completare la maturazione per favorire la trasformazione dei tannini astringenti presenti nel frutto in zuccheri dolci. Bisogna ricordare che le azzeruole non sopportano i trasporti quando sono mature e questo le rende frutti a chilometri zero! Le azzeruole consumate fresche sono dissetanti, rinfrescanti, diuretiche e ipotensive; la polpa ha proprietà antianemiche ed oftalminiche. Si seccano stese all'ombra su una reticella a maglie fitte di materiale plastico e atossico oppure su un cannicciato. In confetture, marmellate e gelatine, insalate e macedonie di frutta; si utilizzano in pasticceria, si conservano sotto spirito e grappa. In cosmesi rivitalizza le pelli sciupate grazie alla provitamina A che è utile anche per chi ha problemi oftalmici.

Siccome l'azzeruolo è pianta ornamentale, da frutto e medicinale, un mio amico l'ha piantata e mi ha suggerito di acquistare un filone di pane appena uscito dal forno e di mangiare le azzeruole con quel pane, io non l'ho ancora fatto ma Luisa che mi legge, la prossima volta che ci vedremo mi darà le sue belle azzeruole e proverò a gustarle con il pane appena sfornato. Invece di pane e acqua per i carcerati oppure di ane e cioccolata per i golosi io assaporerò pane e azzeruole il cibo che fa ritornare la memoria.

Bibliografia

  • C. Bignami - Dipartimento di Produzione Vegetale Università della Tuscia - Viterbo: L'AZZERUOLO (Crataegus azarolus L.)
  • Carlo De Cesare: Delle condizioni economiche e morali delle classi agricole nelle tre provincie di Puglia
  • Annalisa Strada, Gianluigi Spini: La vita segreta degli alberi
  • Fabio Di Gioia: Salvaguardia e coltivazione dell'azzeruolo
  • Laura H: Il frutto dimenticato... L'Azzeruolo
  • Alessandro Mesini: Azzeruolo

La Menunceddrha (cucumbarazzu o cumbarazzu) ovvero il Carosello

Menunceddrha

La Menunceddrha ovvero il Carosello ha i Frutti cilindrici ad estremità arrotondata. La sua diffusione e il consumo inizialmente limitata ad alcuni areali del territorio pugliese, sta uscendo dai confini regionali, interessando anche la grande distribuzione organizzata.

Nel nostro territorio si coltiva la “Meloncella" “Menunceddrha" “Spureddrha" (Cucumis melo L. var. Chate (Hasselq.) Filov), che è stata tradizionalmente coltivata per i suoi frutti acerbi. Questa coltivazione è uno degli ecotipi pugliesi che potrebbe anche essere l'epigono di una coltivazione più ampia.

Voglio subito dire subito per chi si diletta a coltivare nel suo orto urbano oppure sul balcone come si coltiva: la “Meloncella" “Menunceddrha" “Spureddrha" (Cucumis melo L. var. Chate (Hasselq.) Filov) predilige i climi temperati o caldi con umidità costante e soprattutto per quelli che sono a nord penso che debbano tenere in debito conto la circostanza che teme il freddo e le brinate. Prima della semina il terreno deve essere ben lavorato, profondo, di medio impasto, ben concimato e con pH leggermente acido. La semina se fatta all'aperto si può effettuare da marzo a luglio se invece si utilizza una serra può essere effettuata da gennaio-febbraio per poi effettuare il trapianto in marzo-aprile su file distanti 40-60 cm l'una dall'altra. Per la semina in pieno campo si fanno le buche a un metro una dall'altra e si lasciano cadere quattro semi per buchetta.

La raccolta avviene in modo scalare a comincia dopo 74 giorni dalla semina. Nel periodo da febbraio a giugno del 2003 è stata condotta una ricerca in serra fredda su quattro selezioni di popolazioni locali di Melone da consumo verde che sono coltivate in Puglia e specificamente il Barattiere, la Menunceddrha o Spureddrha Bianca, il Carosello di Polignano e il Carosello di Manduria. I ricercatori hanno valutato la morfologia delle piante, le caratteristiche della produzione e la quantità di peponidi delle quattro selezioni di popolazione. La differenza maggiore dal punto di vista Morfologico è tra il Barattiere da una parte e la Menunceddrha o Spureddrha Bianca, il Carosello di Polignano e il Carosello di Manduria dall'altro e anche rea queste ultime tre popolazioni ci sono differenze tra alcuni dei caratteri che sono stati considerati.

La popolazione più precoce è risultata la Menunceddrha o Spureddrha Bianca mentre la più tardiva e la meno produttiva è risultata la popolazione di Barattiere.

Dal 1996, gli scienziati del Istituto di Genetica Vegetale (IGV) del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) di Bari ( Italia) e il Crop Science Institute dell'Università di Kassel (Germania) hanno studiato la conservazione e l'uso di agrobiodiversità nella Grecia salentina. I risultati di queste indagini hanno indicato una forte erosione genetica delle varietà locali autoctone e l'urgente necessità della loro protezione sia in situ e ex situ.

La zona del Salento (Grecia salentina inclusa) è famosa per il Carosello melone cetriolo, meloncella o menuceddha (Cucumis melo L. subsp. melo convar. adzhur ( Pang. ) Grebenšc . var. Chate (Hasselq. ) Filov ). Sono stati raccolti dodici campioni di questa coltura. Sette varietà tipiche locali di melone (C. melo) tra cui la vecchia “Minna te moneca “( seno della monaca), Bianco Melone d'Inverno (poponia in Griko ) e Malune ZUCCARINO (melone dolce) , un tipo caratteristico con frutto lungo e profumato. Purtroppo non sono stati trovati esempi di vecchie varietà locali di cocomero (Citrullus lanatus (Thunb.) Matsumura et Nakai ) già coltivata in questa zona e caratterizzata da polpa gialla , e questi con ogni probabilità possono essere estinti.

Bibliografia

  • Coltivazione degli ortaggi e salvaguardia della biodiversità: il caso del carosello e del barattiere http://roma.cilea.it/plinio/Iniziative/iniziativa.asp?codIniziativa=IC82&Dettaglio=RC84#dettaglio
  • G. Laghetti , R. Accogli and K. Hammer: Different cucumber melon ( Cucumis melo L.) races cultivated in Salento (Italy)
  • Anna Bonasia, Francesco Montesano, Angelo Parente, Angelo Signore, Pietro Santamaria: Morfologia e produzioni di quattro popolazioni di melone da consumo verde
  • F. Martignano V. Falco B.R.G. Traclò K. Hammer: Agricultural biodiversity in Grecìa and Bovesìa, the two Griko-speaking areas in Italy ( Hammer et al. 1992; Laghetti et al. 1998; Hammer et al. 1999; Laghetti et al. 2003; Hammer et al. 2007a , 2007b , 2007c ; Hammer- Spahillari et al. 2007; Laghetti et al. 2007a , 2007b ; Miceli et al. 2007)
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